L’analisi sensoriale del caffè è l’analisi del percepito che abbiamo da una tazzina di caffè espresso. Ma cosa significa “analisi del percepito”? Vuol dire che occorre valutare quello che arriva a livello di cognizione e di emozione alle persone che bevono, in questo caso, la nera bevanda. Con l’analisi sensoriale valutiamo ciò che percepiamo e per farlo abbiamo bisogno dei nostri cinque sensi, immancabile, tra questi, l’olfatto. Ma cos’è nel dettaglio l’analisi olfattiva? Lo abbiamo chiesto a Marco Bazzara, Sensory project manager e Academy Director della Bazzara Academy.
“Quando parliamo di analisi olfattiva, il principale mezzo di trasmissione degli odori è il naso, grazie al quale, respirando, l’aria viene filtrata avviando il sistema di percezione che permetterà successivamente di elaborarli sotto forma di impulsi e di codificarli – afferma -. L’organo dell’olfatto è organizzato affinché si possano, appunto, percepire tutte le sfumature odorose derivanti sia per via olfattiva che retrolfattiva.
Quando noi annusiamo una tazzina di caffè cercando di trovare le note che potenzialmente possono scaturire dall’effluvio della nostra bevanda, il naso viene messo in funzione attraverso l’inspirazione. La stessa cosa avviene anche quando, per via retrolfattiva, deglutiamo e, conseguentemente, espiriamo, ottenendo così un’evoluzione dei profumi ritrovati nella fase iniziale. Di fatto, durante l’espirazione, andiamo ad aggiungere all’olfazione anche la parte relativa al gusto, che amplierà le sfumature odorose. Risulta quindi difficile scindere le note olfattive derivanti da una prima inspirazione da quelle successive alla deglutizione.
I due canali dipendono da queste dinamiche anche per quanto riguarda la percezione degli aromi, perché senza l’uso del naso non potremmo percepirli. Resta invece invariata la rilevazione dei gusti, che non riguarda l’apparato olfattivo ma coinvolge le papille gustative, in grado di percepire gusti e sensazioni tattili anche quando si è raffreddati. Con l’inspirazione si possono percepire centinaia di sostanze odorose” conclude Marco Bazzara.
Specialty coffee è un termine che indica la qualità di caffè più alta disponibile, tipicamente relativa all'intera filiera, utilizzando caffè monorigine. Il termine fu usato per la prima volta nel 1974 da Erna Knutsen in un numero del Tea & Coffee Trade Journal. Knutsen ha utilizzato il caffè speciale per descrivere i chicchi dal sapore migliore prodotti in microclimi speciali.
Verso la metà del XVII secolo il caffè arrivò in Europa e la sua preparazione domestica ricalcava quella dei paesi d’origine. Venivano utilizzate cuccume e bricchi in latta stagnata o i più raffinati samovar in rame, ottone, peltro o argento. Con il sistema della bollitura si otteneva una bevanda piuttosto densa e aspra che lasciava in bocca i residui dei fondi. Tali caratteristiche, insieme all’alto costo del prodotto, non entusiasmarono il “Vecchio Continente” e ciò non ne incentivò di certo il consumo e la diffusione.